HR e Onboarding: tra comunicazione e realtà

18 Ott 2021 | HR Innovation, Mondo del lavoro, Riflessioni sul lavoro | 0 commenti

Il titolo è volutamente provocatorio: la comunicazione è realtà, e anzi, spesso contribuisce a crearla.

Ma questa sovrapposizione non sempre si avvera: pensa, ad es., a quando l’onboarding, ovvero le iniziative che l’azienda crea per accogliere una nuova persona (la realtà quindi), diventa quel muro contro cui si infrangono aspettative generate da fantasmagorici progetti di employer branding (la comunicazione).

È uno dei casi più emblematici che ci portano a pensare che la comunicazione sia una cosa e la realtà un’altra, non trovi?
E ci fanno ritenere che vi sia uno scollamento tra HR e Comunicazione e tra HR e Realtà… 

A dire il vero c’è anche un’altra spiegazione oltre a questa (che tecnicamente peraltro si chiama Fuffa e non è vera comunicazione).
Succede anche, che aziende di sostanza e di valore non abbiano una visione abbastanza ampia e coordinata del proprio lavoro di comunicazione e che, con tutte le migliori intenzioni, perdano qualche pezzo per strada.
Magari perché manca una funzione HR o perché la funzione HR si occupa solo di gestire e amministrare.

E questo ci dice che siamo arrivati a quel punto in cui il marketing è troppo importante perché venga affidato solo alla funzione marketing (cit) ma anche che la funzione HR è troppo importante per essere gestita solo da HR manager o da persone con una formazione specialistica HR.

In questo articolo, troverai alcune suggestioni per comprendere quanto l’onboarding sia strategico e come possa essere affrontato in modo sostenibile ed efficace integrando competenze HR a competenze marketing e comunicazione.

ON-BOARDING È MANTENERE LE PROMESSE

Se partissimo da questo presupposto capiremmo che non possiamo limitarci a consegnare PC e telefono, a far fare un giro per gli uffici e a consegnare un regolamento aziendale, magari in word e in stile circolare aziendale.

Questo non è un benvenuto, questa è una doccia fredda che smorza l’entusiasmo anche della persona più motivata.
Soprattutto se le promesse comunicate sui canali di comunicazione aziendale (sito, linkedin, social in generale) avevano creato e innalzato, oltre al posizionamento, anche le aspettative.
Posizionarsi significa creare delle aspettative e la conoscenza dal vivo chiederebbe di rendersi credibili proprio attraverso la conferma di quelle aspettative.

L’onboardin quindi diventa una risposta autentica alle promesse fatte.
L’onboarding, da questo punto di vista, è esso stesso branding.
E se corrisponde ai valori (veri) dell’azienda, l’onboarding si fa potente collante tra persona e azienda.

In un’epoca in cui si parla di Great Resignation e le ricerche registrano una propensione a lasciare il lavoro (non solo a cambiarlo) più alta di tutti i tempi, attrezzarsi per coinvolgere le persone e migliorare la loro employee experience, a partire dall’onboarding, è imprescindibile.

ONBOARDING È ACCOGLIENZA, MA NON SOLO

Sono 4 gli obiettivi di questa accoglienza che non deve limitarsi a “rendere felice” il nuovo o la nuova arrivata.
Un Onboarding che funziona deve:

  • informare
  • integrare
  • coinvolgere
  • formare

Su questi punti abbiamo lavorato insieme io, Elena Bobbola e Marie Louise Denti nella preparazione del nostro laboratorio dedicato proprio all’onboarding del 19 ottobre 2021 quindi, tutto quello che leggerai da adesso in poi, è frutto di un lavoro a tre.

Un pensiero che ci unisce è l’idea che l’onboarding non sia un’attività che dura un giorno e nemmeno una settimana: l’onboarding è un processo e non insieme di azioni che inizia un giorno e finisce tot giorni dopo.
Dobbiamo fare continuamente onboarding in azienda e pensare all’onboarding come un’attività sempre presente all’interno di un sistema di comunicazione interna.

PAROLE, PAROLE, PAROLE… NON BASTANO

Tendiamo a confondere la comunicazione interna con un insieme, più o meno organizzato, di parole dette, scritte e veicolate, magari in forma di circolare o di mail.
In realtà l’efficacia di una comunicazione aumenta al crescere delle sue capacità di raggiungere i sensi delle persone a cui è rivolta.

Nell’ultima newsletter di Elena e Malou c’è una frase che mi ha colpita e nella quale credo profondamente: la comunicazione è efficace se contaminata percettivamente.

Abbiamo sempre più bisogno, per farci leggere, per farci ascoltare, per far fare, per generare adesione o immedesimazione, per incidere, per arrivare alle persone, di una comunicazione sinestetica e l’onboarding non fa eccezione.
Perché limitarci alle parole quindi? (per quanto io, lo sai, le ami profondamente).

È forse una questione di budget? (non possiamo permetterci altro che parole, mail e circolari)
No, la questione è che mancano curiosità, visione e un po’ di intelligenza emotiva.
Questi tre fattori, a costo zero, farebbero e fanno una grande differenza.

UN ONBOARDING SOSTENIBILE

Io, Elena e Malou sappiamo che una comunicazione efficace spesso è anche una comunicazione sostenibile: affrontabile senza investimenti esagerati e perfettamente integrabile nei contesti esistenti. Lo sappiamo perché l’onboarding (come la comunicazione interna) non sono attività da inventare, da creare da zero: qualsiasi azienda fa già comunicazione interna e fa già onboarding.
Solo che le fa male (oppure bene ma non benissimo, come piace dire a noi).

Sostenibile quindi significa partire da quello che c’è e curarne intenzioni e modalità. Gli investimenti in strumenti, piattaforme e intelligenza artificiale vengono dopo, un bel po’ dopo.

ONBOARDING NELLA PRATICA: IDEE OLTRE LE CIRCOLARI

Il primo suggerimento è di pensare in modo diverso all’onboarding: l’onboarding non inizia il primo giorno di lavoro della nuova persona ma si attiva nel momento in cui percepisci che con tutta probabilità hai davanti la persona che vuoi assumere.
Esattamente in quel momento inizia un processo per portare a bordo quella persona.

E c’è un lasso di tempo particolarmente delicato che va dalla firma dell’impegno di assunzione (e relative dimissioni da parte del candidato o candidata scelta) all’ingresso in azienda nel quale può succedere di tutto: dal rilancio della vecchia azienda, all’arrivo di una proposta ancora migliore.
A volte questo tempo dura mesi… mesi nei quali l’onboarding dovrebbe essere già attivo con la condivisione di contenuti creati ad hoc per iniziare a informare e coinvolgere.

L’integrazione vera e propria invece avverrà con l’inizio del rapporto lavorativo.
Un’integrazione fatta di momenti condivisi e di comunicazione orale, di tempo messo a disposizione, di raccolta di feedback ma anche della produzione di materiali e contenuti a supporto della persona assunta.
Contenuti progettati sulla persona, non ciclostilati su una comunicazione istituzionale e fredda.

E perché non pensare a un welcome kit che non si limiti a pc e telefono?
I contenuti audio come i podcast sono una risorsa dal grande potenziale per raccontare l’azienda.
E le parole assumono una forza più grande nella trasmissione di concetti o informazioni articolate se accompagnate da immagini o affidate a dei video.

Un docuslide, ovvero slide ad uso informativo e che non necessitano dell’intermediazione di una persona, (di cui peraltro parleremo al laboratorio del 26 ottobre) avrà un impatto molto più potente di un documento creato in word e magari pure giustificato.

La parola scritta invece non ha rivali quando si veste di sintesi e diventa veicolo della relazione più che di un plico di informazioni da memorizzare o da archiviare.

La formazione può essere supportata da momenti in presenza o da webinar e non deve mancare.

La convivialità deve senza dubbio entrare in un processo di onboarding, soprattutto per quelle aziende che si dichiarano persona-centriche, informali, orientate alle relazioni: il tempo dedicato anche oltre il tempo del lavoro, senza esagerare perché coinvolgere non fa rima con fagocitare.

Trasversale ti consigliamo una costante attenzione alla feedback da parte della persona assunta: questo ti aiuterà a gestire in modo flessibile e personalizzato l’onboarding che, va detto, non può essere uguale sempre e per tutti.

Il maggiore investimento quindi sarà un investimento in tempo, in cura, in ascolto e attenzione per l’altro.
È sostenibile per la tua azienda?
Se la risposta è no l’azienda ha un problema.

GENERARE BENESSERE È UN INVESTIMENTO BOOMERANG

Per noi l’onboarding è un investimento boomerang che genera benessere e restituisce commitment, efficienza, produttività, spirito di appartenenza.
E generare benessere è una delle attività a cui è chiamata la funzione HR, funzione che, da tempo, ha smesso di essere quella che amministra e che gestisce, ma che non ha ancora compreso quanto questa trasformazione abbia a che fare con la comunicazione e le relazioni. E se l’ha capito è come se non sapesse da che parte cominciare.

Spero, con questo articolo molto pratico, di aver dato qualche spunto concreto di ispirazione e soprattutto di azione.

E infine ti ricordo che se vuoi approfondire il tema andando ancora più nel concreto, il 19 ottobre, dalle 18 alle 19:30 io, Elena e Malou terremo un laboratorio sull’onboarding e avremo con noi due ospiti d’eccezione, Marco Ziero e Giulia Vanzella di Moca Interactive a raccontarci nel concreto l’esperienza di onboarding messa a punto in Moca.

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