Lo scorso 7 febbraio Serenis ha presentato i dati emersi da un osservatorio condotto con l’Università degli studi di Padova, sulla salute mentale delle persone che lavorano e ho avuto il piacere di coadiuvare la tavola rotonda organizzata in occasione di questo evento.
Premesse necessarie per comprendere il contesto dell’osservatorio
- Spesso, in molte organizzazioni, del benessere mentale – e non solo mentale – delle persone che vi lavorano ci si preoccupa solo quando questo viene a mancare, e ancora di più quando vengono a mancare le persone, perché se ne vanno o perché non accettano di far più parte della realtà aziendale;
- Sempre più aziende parlano di wellbeing e dichiarano di investire in benessere ma allo stesso tempo sempre più dipendenti dichiarano un crescente malessere parlando di lavoro o di ambiente lavorativo.
Entrambe le premesse risultano un po’ paradossali, eppure sono reali e infatti l’osservatorio condotto da Serenis ha fatto emergere ciò che in fondo, già si sa: molte persone non stanno bene al lavoro. Anzi, molte persone non stanno bene a causa del lavoro: e il loro malessere si riversa anche nella altre aree della loro vita.
Una terza premessa che mi sento di fare è che tutte le aziende analizzate dall’Osservatorio presentano caratteristiche e livelli di benessere diversi (diverse dimensioni, diverse località, diversi lavori e diverse culture aziendali). Questo è importante da tenere a mente sia nell’analisi delle risposte che, soprattutto, nella proposta di soluzioni, che non possono essere semplicistiche e non possono prescindere da un’attenta analisi del singolo caso aziendale.
Dai dati raccolti emerge che:
– 1 persona su 2 dichiara una situazione di disagio psicologico
– 1 persona su 2 dichiara che l’interesse della propria azienda nei confronti del benessere psicologico è basso (molto basso).
L’insoddisfazione nella maggior parte dei casi non è, a quanto dichiarato dalle persone interpellate, legata al ruolo o al lavoro in sé ma alle condizioni in cui viene svolto: il benessere dei dipendenti ha a che fare con l’ambiente di lavoro.
Fermiamoci un attimo e riflettiamo
1 persona su 2 dichiara un disagio psicologico… non è stanchezza, non è demotivazione, non è poca voglia di fare.
È che lavoriamo all’interno di un sistema che genera malessere psicologico.
E questo anche a fronte di aziende che dichiarano di investire in wellbeing…
Com’è possibile?
Durante la tavola rotonda una cosa è emersa con chiarezza cristallina: il benessere delle persone non è un processo ma un fattore culturale, ed è solo attraverso un approccio sistemico e sistematico che potremo vedere modificarsi, in positivo, questi dati.
Molti degli interventi aziendali attuali invece non sono ancora sistemici perché il benessere delle persone non è ancora considerato come qualcosa di fondamentale.
Non a caso si parla ancora di “iniziative” o “progetti” ma troppo poco di “cultura del benessere” e di avere a cuore il benessere dei propri dipendenti.
Ma quindi quale può essere la soluzione?
Quando a generare malessere è la cultura aziendale, fissa su un’anacronistica cultura della performance, della competizione, dell’immagine, dei formalismi, dei silos (funzionali, generazionali, gerarchici), della discriminazione, del gender gap… Quando il malessere è frutto di una cultura non basteranno 3 o 4 iniziative delle Risorse Umane, raffazzonate e realizzabili solo se c’è budget a disposizione, per rendere il benessere un fattore costitutivo.
Di nuovo i dati ci aiutano a capire qualcosa di più.
Tra i fattori che generano benessere troviamo:
- un aumento dell’autonomia
- discrezionalità su tempi di lavoro, poter organizzare il proprio tempo e le proprie vite come si preferisce
- strumenti e attività lavorative svolte
- un minor controllo e pressione da parte del management
- la presenza di feedback chiari e di una roadmap di obiettivi condivisi.
A generare malessere invece è un’eccessiva varietà delle attività da svolgere, che possono risultare dispersive e per questo stressanti. Ma anche un sovraccarico in termini di orario di lavoro, soprattutto se avviene nel weekend.
A onor del vero esistono diverse iniziative che le aziende hanno provato a implementare per il benessere dei propri dipendenti. Soluzioni che vanno da orari più flessibili, possibilità di lavorare da remoto, servizi di wellbeing in azienda o come benefit aziendali, quali per esempio avere accesso a corsi di yoga, palestra o a sedute di psicoterapia.
Per adottare una soluzione che funzioni bisogna intervenire a livello sistemico-culturale, e pertanto risolutiva nel lungo termine, bisogna lavorare su diversi fronti.
- Le aziende devono analizzare caso per caso la situazione del benessere aziendale nella propria realtà e ascoltare e capire i bisogni dei propri dipendenti, per adottare una soluzione che sia funzionale e condivisa.
- I dipendenti stessi hanno un ruolo importante nel creare un ambiente di lavoro migliore per loro stessi e per i colleghi, e nel dialogare di questi temi in maniera costruttiva con il management e le risorse umane.
- Infine a livello di società e di regole, e diritto del lavoro, bisognerebbe cercare di favorire una maggior flessibilità in modo che le aziende possano adattare le proprie strategie di Risorse Umane, in base ai bisogni dei propri dipendenti, e che i dipendenti possano scegliere di lavorare nell’ambiente in cui si sentono più loro stessi.
Per leggere i dati dell’osservatorio scarica il report.
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