Come allenare il cambiamento professionale (tratto da una storia vera, la mia)

28 Set 2021 | Mondo del lavoro, ricerca lavoro, Riflessioni sul lavoro | 0 commenti

Si parla tantissimo di cambiamento ondeggiando tra la capacità di gestirlo (il cambiamento arriva e va in qualche modo affrontato) e quella di ottenerlo (il cambiamento è una presa decisione e un’urgenza che quando bussa non lascia scampo).
Io mi assesto tra quelle persone che il cambiamento (professionale e non) preferiscono costruirlo, anzi, sono una che continua a gettare basi e presupposti di un cambiamento che verrà.
Quale?
Non lo so, ma nel dubbio semino presupposti utili.

Subire qualcosa non mi piace ma ancora meno amo la sensazione di essere arrivata al punto per cui niente di quello che ho o faccio mi soddisfa più e quindi devo voltare pagina.

In questo articolo provo a darti due spunti per iniziare a costruire il tuo cambiamento anche se non hai intenzione di cambiare adesso (che poi sono il momento e la condizione migliore per iniziare a gettarne le basi).

Partiamo dal presupposto che tu stia lavorando con soddisfazione e gratificazione, ma che voglia aprirti delle porte che, in un futuro, potrebbero portarti a cambiare.

Bene, iniziamo.

 

COS’È IL CAMBIAMENTO

Non posso non partire da qui.
Per cambiamento intendiamo la possibilità di trasformare il tuo lavoro in qualcosa di altro e di diverso in termini di settore, mansioni, responsabilità, formula contrattuale, geografia, impegno settimanale ecc…

Il cambiamento È evoluzione, è crescita e deviazione rispetto a dei binari rigidi.

Il cambiamento NON È svolta.
La svolta, quella per cui ieri eri progettista meccanico e domani gestisci un B&B, ha più a che fare con la fortuna o con condizioni tali alle spalle, da renderti una persona molto fortunata.

Succede e quando succede ben venga.
Ma sono casi rari.
Qui ragioniamo su quelle azioni che ti portano a costruirla la fortuna o a mettere in piedi quelle condizioni che ti consentiranno il salto.

 

PRIMO SUGGERIMENTO: INIZIA AD AGGIUNGERE PUNTINI

I puntini, come nel gioco della settimana enigmistica, servono poi a creare un disegno e in questo caso hanno molto a che fare con le competenze.

È chiaro che:

  • più puntini hai a disposizione, più il disegno è particolareggiato,
  • più puntini hai a disposizione, più ti sarà facile realizzare disegni diversi scegliendo opportunamente tra i diversi puntini.

Il problema è quando quei puntini non ci sono o non li vedi e non li coltivi.

I puntini, in una strategia di cambiamento, sono:

  • interessi extra lavorativi su cui costruisci competenze,
  • percorsi formativi non specialistici, come quando io andai a fare un corso di grafica per non grafici ed ero una recruiter, lo racconto brevemente qui,
  • opportunità di ricoprire ruoli, professionali e non, diversi dal tuo anche solo per poco tempo o in supporto a qualcuno.

Chiariamoci: questo significa aumentare la mole degli impegni, della fatica, dello studio, del tempo occupato.
I puntini non si gettano nella fantasia ma nella realtà.
Nel mio caso aver frequentato numerosi corsi di scrittura e comunicazione lavorando come recruiter ha significato investire soldi, tempo e tanta esercitazione in tematiche non strettamente connesse al mio lavoro.

Altro inciso: non significa dedicarsi anima e corpo a una passione perché, mettiamo ad es. che ti piaccia arrampicare, dedicare tutto il tuo tempo libero ad arrampicare non è aggiungere puntini ma coltivare una verticalità.
Questo a meno che a) tu non voglia diventare guida alpina o istruttore/trice di free climbing o b) l’arrampicata non diventi un modo per coltivare altre competenze professionali rivendibili.

 

METTI LA TESTA FUORI DAL TUBO

Non puoi gettare le basi di un cambiamento se continui a fare, anche benissimo, solo il tuo lavoro e a vivere una quotidianità molto ripetitiva.

Mettere la testa fuori dal tubo significa esercitare la curiosità e fare alcune cose anche solo per soddisfarla, per introdurre il cambiamento come stile di vita e non solo come progetto.
Significa rendersi permeabili.
In questo suggerimento c’è l’invito a convivere con il cambiamento e non solo a farne un obiettivo.
La differenza è importante e potrà rivelarsi decisiva al momento giusto.

Mettere la testa fuori dal tubo significa anche, ammettere che l’azienda in cui lavori e la tua vita fuori dal lavoro (famiglia, amici, sport) non sono tutto il mondo bensì il tuo piccolo mondo.
E di conseguenza, avere la curiosità e la disponibilità di andare a sperimentare dell’altro, almeno ogni tanto, ma con costanza.
Chi viaggia sa di cosa parlo. Io non ho viaggiato molto ma ho sempre messo la testa fuori dal tubo, quindi nessun alibi, il passaporto non è necessario.

Un incarico nella scuola di tuo figlio/a, entrare a far parte del team che organizza il TedX della tua città, frequentare un network che non è fatto solo di colleghi e colleghe.
Per me stato determinante iniziare a frequentare il Freelancecamp: ero l’unica HR all’epoca, ho iniziato mentre ancora lavoravo come dipendente, non conoscevo molte delle figure professionali di cui questo evento era pieno e per anni è rimasto un network di persone che lavoravano nel digitale… tutto questo mi è servito in un modo esagerato.

Un altro suggerimento è la rete: l’internet, come diceva mia nonna, è pieno di stimoli e opportunità per esplorare ciò che non fa parte della tua quotidianità, ma attenzione, devi essere in grado di non fermarti a ciò che ti propone – e propina – l’algoritmo, altrimenti al tubo si aggiunge la bolla, e non è più finita.

Mettere la testa fuori dal tubo consente di:

  • vedere le cose da prospettive diverse, il tubo infatti di condiziona e se non tiriamo mai fuori la testa, succede che via via vediamo il mondo a forma di tubo, quello di cui facciamo parte,
  • conoscere persone diverse da noi, che fanno lavori diversi che vivono in posti diversi, che ragionano in modo diverso: un arricchimento importante e prezioso non solo in ottica di networking ma come possibilità di mettere in discussione o a confronto pensieri diversi,
  • ossigenare i neuroni, abituare la testa a non abituarsi, a non adagiarsi e a concepire il cambiamento come stile di vita più che come obiettivo o imprevisto.

È un allenamento non strettamente legato allo sviluppo di competenze ma utile a renderti flessibile e agile.

 

SE NON ORA, QUANDO?

Chiudo con un incitamento all’azione prendendo in prestito parole non mie.
E sarò veloce perché spero ti sia chiaro che svegliarti improvvisamente, dopo 25 anni dello stesso lavoro o della stessa azienda, senza aver sviluppato altre competenze, senza aver coltivato un network, senza sapere come funziona il mondo fuori dal tuo mondo, significa fare una grande fatica a mettere in moto un processo di cambiamento.

E non conta che tu voglia mettercela tutta, non sarà sufficiente affermare le tue capacità di apprendimento o la tua disponibilità a farti un mazzo tanto, sarai comunque in salita, in un processo che, in Italia, non è ancora così incentivato o compreso.

Quindi, che tu abbia 26 o 43 anni, ma anche fossero 57, non indugiare e inizia a gettare le basi su cui costruire un cambiamento sapendo che non sarà immediato, ma il viaggio ne varrà la pena e sarà esso stesso parte del cambiamento (la retorica ogni tanto ci sta).

Usa i puntini per divergere senza disperdere e senza perderti.
Metti la testa fuori dal tubo.
E poi inizia a tracciare il tuo disegno.

(La foto di copertina è opera di Monja Da Riva ed è stata scattata all’ultima edizione del Freelancecamp)

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