La risposta è dentro di te… epperò se non la tiri fuori è un casino

16 Feb 2017 | Colloquio di Lavoro | 0 commenti

Per scrivere questo post prendo spunto da questa immagine…

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Ok, è vero, la domanda su pregi e difetti potrebbe suonare banale e pure un po’ demodé ma signori e signore vi svelo una cosa: è proprio quando bisogna parlare di sé (in modo contestualizzato e non banale) che la maggior parte dei candidati/e va letteralmente in palla.

Che io chieda pregi o difetti, che io chieda punti forti e lati di miglioramento, valore aggiunto e ambiti di sviluppo, potenzialità e criticità, che io mi appelli alle metafore o all’identificazione con animali-piante-cose, il risultato non cambia: se l’argomento di conversazione si sposta dal “cosa faccio” al “come sono” il colloquio rallenta e l’esposizione si fa più difficoltosa, l’arrossimento accellera, il balbettio esplode e lo smarrimento si palesa. Qualcuno inventa, qualcuno striscia le unghie sugli specchi, qualcun altro visualizza i rimproveri del partner (ma si guarda bene dal dichiararli) e qualcuno capitombola “che domanda difficile…” o ancora peggio “certo che possiedo dei difetti, è che adesso non mi vengono in mente”.

C’è chi crede di salvarsi dicendo “non sono io a dover parlare di me, lo dovrebbero fare gli altri!”
Scusate ma anche questa è una risposta che, come direbbe mio figlio, “non vale!!”
Perché se a un colloquio di lavoro non riuscite a parlare di voi oltre a ciò che sapete e/o volete fare, beh è un problema.

  • È un problema perché per fortuna, oggi sempre di più si assumono persone, non si comprano competenze.
  • È un problema perché se non si sa parlare di se stessi, cioè della persona che si dovrebbe conoscere meglio visto che è l’unica con cui si è convissuto senza pause di riflessione da quando si è stati concepiti, qualche dubbio potrebbe sorgere anche su tutto il resto.
  • È un problema perché se anche fosse solo una questione di vocabolario o di introversione, ci sarà sempre qualcuno che quel vocabolario ce l’ha o alla più porca ha tanta faccia tosta (e non sto dicendo che è giusto ma è pur sempre la realtà).

Quindi togliamo di mezzo anche la scusa dell’introversione, che essere introversi non significa non conoscersi, anzi, forse gli introversi hanno maggior consapevolezza delle proprie peculiarità rispetto agli estroversi.
Eppure da entrambi i lati della barricata ho visto la stessa difficoltà a raccontarsi.

No, per parlare in modo convincente di sé “bastano” attenzione e osservazione, il coraggio di chiedere feedback e la cura necessaria a mettere a punto un discorso autentico e coerente.

ATTENZIONE E OSSERVAZIONE

Quando vi si chiede di parlare di voi non si vuole indagare come siete quando fate giardinaggio o come preferite piegare i calzini.
Si cerca di capire quali sono le caratteristiche che incidono in modo significativo sul vostro comportamento nel luogo di lavoro. Quindi innanzitutto circoscriviamo il campo: parliamo della sfera professionale.
Inoltre parliamo di comportamenti, non stiamo facendo psicologia spicciola e manco psicoanalisi spinta, l’inconscio e le interpretazioni oniriche li lasciamo agli addetti ai lavori, ok?
Quindi come fare?
Osservatevi come farebbe un osservatore esterno: che tipo di persona vedete?

Estroversa o introversa?
Razionale o emotiva?

Che tipo di comportamenti mette in campo? questi comportamenti che indole evidenziano.
Fate questo esercizio e fatelo per iscritto, obbligatorio.
Descrivete lo stile del vostro essere al lavoro partendo dalle due distinzioni che vi ho appena dato, se non vi viene l’aggettivo scrivete i comportamenti e poi in un secondo momento traducete il comportamento in una caratteristica.

CHIEDERE FEEDBACK

Non è completamente sbagliato pensare che gli altri sappiano e vedano di noi cose che noi non riusciamo a scorgere (ce lo insegna bene anche la finestra di Johari).
Il punto è che dobbiamo avere il coraggio di farcele dire queste cose: andare da chi lavora con noi e chiedere, “senti, ma tu come mi vedi??” alla Quelo e via.
E sperare che l’altro/a sia onesto e crudelmente schietto. Chiedere, domandare, anche a quelle persone con cui a volte ci scontriamo, per avere il punto di vista di chi è magari molto diverso da noi.
Per cui a un colloquio non vale rispondere “dovrebbero essere gli altri a raccontare le mie caratteristiche”, bisognerebbe dire invece “i feedback che mi ho raccolto in questi anni sono:….”

CREARE IL RACCONTO

Ora chiariamo un punto: non voglio parlare per forza di storytelling, che altrimenti pare serva creare una campagna marketing per cercare lavoro, ma suvvia, un po’ di impegno a raccontarsi è obbligatorio.
Se snocciolate un elenco di caratteristiche come fosse la lista della spesa o peggio, se cercate di mettere insieme qualità e frasi fatte pensando così di pronunciare ciò che l’altro vuole sentirsi dire, fallirete! Garantito al limone.
Parlare di sé non significa dire esattamente ciò che l’altro si aspetta di sentire ma dimostrare di avere buona consapevolezza delle proprie caratteristiche e dell’indole che anima i propri comportamenti.
Significa accettare e riconoscere che determinazione, grinta, pragmatismo e ambizione si accompagnano generalmente anche a bisogno di controllo, a potenziale aggressività, a possibile fretta nel fare cose.
Grintosi e pazienti insomma ne ho conosciuti pochi, qualcuno ce n’è ma sono eccezioni, così come analitici e reattivi.
Quando vi raccontate quindi siate autentici e coerenti, non abbiate paura di svelare le carte e fatelo in modo intelligente (normale non significa niente, cosa vuol dire “sono normale!”??).
Mettete in luce i vostri pregi argomentandoli e rendendoli un valore aggiunto rispetto al ruolo per il quale vi siete candidati. Riconoscete con altrettanta trasparenza le aree di miglioramento, quelle vere però: testardo/a e sensibile non sono dei difetti, dai.

Quindi ok, siamo tutti stanchi del “mi dica 3 pregi e 3 difetti”, noi recruiters per primi, che ci piacerebbe alzare un po’ il livello dei colloqui e toccare temi più di sostanza.
Ma resta il fatto che su questa benedetta domanda molti ancora inciampano maldestramente.
In realtà la risposta c’è, è dentro di voi, e non è sbagliata.
Ha solo bisogno che troviate le parole giuste per farla uscire.quelo-peace

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